27.08 - Nel caso di incoscienza e di grave condizione patologica irreversibile del beneficiario, l’amministratore di sostegno può interrompere le cure o il sostegno vitale?

In seguito agli sviluppi della moderna terapia intensiva, alcuni pazienti che hanno subito un danno gravissimo degli emisferi cerebrali sopravvivono, dopo un periodo di tempo più o meno prolungato di coma, in uno stato caratterizzato dall’assenza completa delle funzioni degli emisferi (in particolare della corteccia), malgrado un relativo risparmio delle funzioni del tronco encefalico. 

Se questo stato, che può essere transitorio, supera i trenta giorni si parla di stato vegetativo persistente. Si parla, invece, di stato vegetativo permanente per indicare lo stato vegetativo irreversibile. Questa espressione non costituisce una diagnosi ma una prognosi di irreversibilità.

Nel noto caso “Englaro” la Corte di Cassazione (Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748) ha affermato che, in caso di incapacità del paziente, superata l’urgenza dell’intervento derivante dallo stato di necessità, l’istanza personalistica alla base del principio del consenso informato ed il principio di parità di trattamento tra gli individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione della decisione medica: tra medico che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità terapeutiche, e paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa accettare o rifiutare i trattamenti prospettati. Tuttavia, il carattere personalissimo del diritto alla salute dell’incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul rappresentante legale, il quale è investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell'incapace, il legale rappresentante è sottoposto a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non “al posto” dell’incapace né “per” l’incapace, ma “con” l’incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche.

In applicazione di tali principi, la Suprema Corte, nella sentenza citata, ha statuito che il rappresentante legale – tutore o amministratore di sostegno – può essere autorizzato dal Giudice ad interrompere i trattamenti di sostegno vitale soltanto (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della persona.


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